Usu latinae linguae verba nova et insolita explicare.
Ovvero spiegare cose nuove con parole vecchissime…
Lingua Clara si inserisce nella cornice di ATB Associazione Culturale con la volontà di mostrare le potenzialità di una lingua, considerata ormai obsoleta, ma che si dimostra invece contemporanea e viva. Non si propone di usare il latino che avrebbe utilizzato Cicerone, ma sfrutta, piuttosto, la struttura e i termini, anche quelli insoliti, del latino con l’obiettivo di intessere un gioco tra chi scrive e chi legge: quello di capirsi attraverso parole lontane, evocative, insolite, che nella loro verità eterna palesano un significato immediatamente chiaro. Non serve conoscere il latino per capire il significato di questo latinorum!
Simbolo: Signum quod alterum significat
Curiosità
L’arte e il simbolismo sono sempre andati a braccetto. Fin dalle manifestazioni di estro creativo primitive, rintracciabili nelle grotte paleolitiche disseminate in Europa, ritroviamo in effetti raffigurazioni astratte di momenti cruciali della vita come la nascita o la morte e comprendiamo in fretta come dalla primigenia istintiva stilizzazione dei corpi si sia passati alla meno immediata rappresentazione grafica di suoni e parole. È curioso notare come oggi propendiamo a un’inversione di tendenza: non ci soffermiamo sulla nascita della scrittura, quanto piuttosto avvertiamo la necessità di prendere coscienza del modo in cui i dipinti e le sculture, per comunicare, si siano sempre avvalsi di elementi grafici codificati.
Dal meraviglioso e occulto simbolismo medievale –fatto di numeri, gesti e codici che parlavano a tutti della simbologia dell’astratto nell’arte contemporanea talora incomprensibile– possiamo infatti osservare il ricorrere quasi ossessivo degli stessi elementi. Questo avviene ancor prima in realtà e, per esempio, semplici triangoli raffigurano, dalla preistoria a oggi, la fertilità femminile, così come la stessa forma però capovolta rappresenta il corrispettivo maschile.
Sorge spontanea la domanda: com’è possibile che esistano simboli universali? Siamo arrivati ad essi con un processo induttivo, deduttivo o di sintesi? Sebbene sia difficile rispondere, possiamo almeno risolvere l’arcano dell’etimologia di questa parola. “Simbolo” viene infatti dal greco, da σύν [‘sun’], “insieme”, e βάλλω [‘ballo’], un verbo dal significato simile all’italiano “gettare”. Il σύμβολον era un segno di riconoscimento: il ramoscello di due amanti in procinto di separarsi, il fuscello che veniva spezzato con la speranza di far combaciare in futuro le estremità divise, di gettarle insieme. Il σύμβολον era il riconoscimento, l’anello donato al bambino esposto*, la possibilità e la speranza di ricongiungersi con le persone amate. Il σύμβολον era l’oggetto che evocava il collegamento con qualcun altro, qualcos’altro, una comunicazione silenziosa che non faceva uso di parole; sfruttata per lungo tempo nell’arte religiosa per far fronte all’analfabetismo diffuso, ancora adesso è usata nei loghi commerciali per la sua immediatezza semantica.
* Nell'antichità, quando per mancanza di risorse non si poteva crescere un figlio, lo si esponeva affidandolo alle cure di sconosciuti benefattori, talora con il rischio che si trovasse in condizioni di schiavitù. Un anellino, una collana o un piccolo oggetto decorato o inscritto veniva messo tra le coltri nelle quali giaceva il neonato, con la speranza che crescendo potesse tornare dai familiari. Era una separazione sofferta ma necessaria in situazioni in cui, per via della povertà, la mortalità infantile era elevatissima.
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