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Immagine del redattoreChiara Commisso

Lorica x Lingua Clara

Usu latinae linguae verba nova et insolita explicare. Ovvero spiegare cose nuove con parole vecchissime…Lingua Clara si inserisce nella cornice di ATB Associazione Culturale con la volontà di mostrare le potenzialità di una lingua, considerata ormai obsoleta, ma che si dimostra invece contemporanea e viva. Non si propone di usare il latino che avrebbe utilizzato Cicerone, ma sfrutta, piuttosto, la struttura e i termini, anche quelli insoliti, del latino con l’obiettivo di intessere un gioco tra chi scrive e chi legge: quello di capirsi attraverso parole lontane, evocative, insolite, che nella loro verità eterna palesano un significato immediatamente chiaro. Non serve conoscere il latino per capire il significato di questo latinorum! Lorica: Indumentum est quod militibus pectus protegat.

Curiosità

Ne abbiamo viste a centinaia: diffuse nei musei, bianche, incise nel marmo, ricoperte di decori barocchi, le meravigliose armature dei condottieri romani. Nei dipinti appaiono dorate, ornate con i simboli dell’imperialismo romano, avvolte in manti vermigli; nelle sculture sfoggiano bassorilievi con scene di guerra, sono musculate, imponenti, sfarzosissime... ma com’erano realmente gli indumenti militari nell’antichità? Certamente non tanto preziosi: l’uomo comune in battaglia si accontentava, infatti, di un robusto strato di cuoio non potendo, spesso, procurarsi altro.

Anche i comandanti probabilmente evitavano di affrontare le fatiche della guerra con pesantissime cotte in bronzo, pur distinguendosi dalla semplicità delle armature dei soldati comuni. In effetti, la praticità era fondamentale in un contesto in cui essere stanchi o lenti avrebbe condotto inevitabilmente alla morte. Sicuramente venivano sfoggiate armature più belle e pesanti -per lo meno da chi era al potere- nelle circostanze dei Trionfi, momenti di gloria in cui molti erano i simboli del vincitore detti triumphalia ornamenta: la corona aurea, la toga picta (ossia dipinta), la tunica palmata, lo scipio eburneus (il bastone d'avorio), il currus triumphalis (carro trionfale) e la corona laurea (la corona di alloro successivamente destinata ai poeti). Abbiamo resti di loriche, appartenute senz’altro ai più grandi generali, con il profilo dei muscoli scolpito nella lega metallica oppure, potremmo dire scherzando, “con gli addominali finti”. In questo contesto l’oggetto di necessità diventa opera d’arte, talmente bella e curata da imporsi nell’immaginario collettivo tanto da farci pensare che le armature dei soldati romani fossero tutte così. I pittori hanno inevitabilmente contribuito a distorcere i fatti rappresentando i condottieri con meravigliosi ornamenti anche nei contesti militari, senza perciò scindere realisticamente il momento acre e duro della battaglia da quello dell’ingresso trionfale nelle città e con lo scopo di far emergere in maniera ancora più evidente la virilità del princeps.

Vi erano, per completezza, vari tipi di lorica tra cui quelle squamate e quelle segmentate, composte rispettivamente con scaglie o placche di metallo.

In periodo medievale poi, la lorica viene sostituita da cotte di maglia composte da minuscoli anelli di ferro e, in generale, i paramenti si fanno più pesanti e spessi per necessità dovute al progresso nella tecnologia bellica e allo sviluppo di armi da tiro più penetranti, come la balestra.

Potremmo infine, anche per rispolverare questo termine desueto, definire i giubbotti antiproiettile delle modernissime loriche, frutto di un ulteriore progresso nella tecnologia bellica, in grado perciò di contrastare i proiettili distribuendone l’impatto e permettendo a chi li indossa di sopravvivere, sebbene -c'è da dire- non del tutto indenne.

Nel momento del trionfo uno schiavo era incaricato di stare sul carro accanto al generale vittorioso e mormorare all'orecchio in continuazione le parole : "Respice post te. Hominem te memento, per ricordargli la sua natura mortale. Queste sono le parole che nella tradizione religiosa cristiana sarebbero divenute le proverbiali "memento mori".

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