Questa locuzione, che indica l’atteggiamento di chi nasconde qualcosa di importante e spesso criticabile, se non addirittura criminale, ha delle origini piuttosto difficili da ricostruire. Presumibilmente si tratta di un’espressione derivante dal francese “squelette dans le placard” ed è, secondo lo scrittore Bernard Delmay, nata da un’illustrazione satirica pubblicata su molti giornali nel 1792 riguardante Honoré Gabriel Riqueti, conte di Mirabeau. Questi fu un famoso rivoluzionario che in realtà ambiva al ruolo di ministro in una monarchia costituzionale e dunque sosteneva il re, tradendo i propri compagni e sabotandone le azioni. In un armadio segreto, incassato nel palazzo delle Tuileries nel muro del corridoio tra la camera da letto del re Luigi XVI e quella del Delfino, erano stati conservati diversi documenti compromettenti: 726 carte per l’esattezza che testimoniavano i rapporti segreti del re con diversi nobili o personaggi famosi del tempo. L’armadio, chiuso da una porta in ferro ricoperta da uno strato di pittura che simulava la pietra, si chiamava appunto “Armoire de fer”. Tra i documenti che furono ritrovati nel 1972 c’erano quelli che provavano il tradimento di Riqueti; carte che, una volta scoperte, destarono molta rabbia e scalpore. I giacobini, che non le mandavano a dire, ritrassero il conte col corpo di scheletro e la mano appoggiata su una corona, seduto sulle pile di documenti che rappresentavano la corrispondenza con il sovrano. Sopra la sua testa un dipinto lo raffigurava con il corpo di una serpe, mentre vomitava veleno in un berretto frigio: il cappello simbolo dei giacobini.
Secondo altri autori invece, il modo di dire farebbe riferimento agli studi medici sui cadaveri che, fino agli anni Trenta dell’Ottocento, potevano essere svolti solamente sui corpi dei criminali e che dovevano essere tenuti nascosti per decenza. Questa interpretazione sembrerebbe dunque indicare una realtà tenuta nascosta perché contraria alla morale comune. La prima legge che autorizza la dissezione umana viene infatti promulgata nel 1231 da Federico II, l’imperatore del Sacro Romano Impero: egli decretò che le scuole mediche avrebbero ricevuto ogni anno, per motivi di studio, i corpi di almeno due criminali. Tuttavia, per i successivi seicento anni, questa pratica venne ritenuta infamante per chi la subiva e in generale macabra. L’Inghilterra, per esempio, proibì la pratica dell’autopsia fino al Cinquecento, quando alcuni editti concessero al Royal College of Physicians e alla Company of Barber-Surgeons la dissezione di un esiguo numero di cadaveri l’anno. Fu il Murder Act, nella metà del Settecento, a consentire autopsie sui corpi dei condannati a morte. Tuttavia, data la crescente richiesta di cadaveri nelle scuole di Medicina, si sviluppò il mercato nero delle salme, trafugate nei cimiteri e rivendute a caro prezzo. La necessità di tenerle nascoste può quindi aver fomentato l’espressione “avere scheletri nell’armadio”.
Nella maggior parte dei casi, infine, le attestazioni più antiche di questo modo di dire risalgono al XIX secolo e sono proprio in lingua inglese, ovvero “skeleton in the closet” o “skeleton in the cupboard”, riportate sia nei testi dei dizionari sia da parte di autori... pertanto dovevano essere diffuse già da un pezzo nel linguaggio comune e si riferivano certamente a qualcosa di concreto nell’immaginario di tutti.
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