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Immagine del redattoreATB ASSOCIAZIONE CULTURALE

LUBRICO ANZI ERGODICO


Che cos’è la letteratura ergodica? “Uichipèdia” dice che “ergodico“, lungi dall’avere significati lubrichi, deriva dal greco “ergon“, lavoro, e “hodos“, percorso. Ovvero si tratta di un testo la cui fruizione richiede un lavoro fisico non triviale per arrivare alla fine. Non triviale: nel senso di superiore al lavoro fisico mediamente necessario per leggere – muovere gli occhi e voltar pagina di tanto in tanto. L’I Ching ne è un esempio, dicevamo: il prossimo capitolo che leggeremo non è quello successivo all’ultimo letto, ma viene determinato da un complesso rituale pagano che richiede bastoncini di millefoglie, monete, danze simboliche, incenso e sacrifici di capre e tori (ok, solo alcune di queste cose). Un altro esempio che si dà è quello di un testo scritto sulle pareti di una stanza, che può essere letto solo andando avanti e indietro da una parete all’altra (perchè mai uno vorrebbe fare una cosa simile, poi, chissà)!

Qualcuno nel 1997 – segnatamente Espen J. Aarseth – raccolse sotto il nome di letteratura ergodica tutta quella produzione: “che richiede al lettore sforzi non superficiali, non triviali, per attraversare il testo”. Uno sforzo in più rispetto alla letteratura normale – che si legge ad esempio scorrendo le righe con gli occhi e voltando automaticamente le pagine – sforzo che in qualche modo fa partecipare il lettore al processo creativo che sta dietro e dentro la letteratura stessa, normalmente affare solo dello scrittore. In questo modo, inoltre, è il lettore a conferire significato al testo. Aarseth teorizzò la possibilità che potesse esistere un tipo di letteratura con vita indipendente rispetto al medium da cui era veicolata, cioè il libro e teorizzò due categorie utili per l’analisi di questi testi: i textons e gli scriptons. I primi sono elementi testuali che osservano regole precise e sono presenti in numero determinato; i secondi, invece, sono le possibili combinazioni di tali elementi e sono, perciò, infinite. L’opera di Aarseth, Cybertext - Perspectives on ergodic literature fu quindi capostipite (consapevole) dei libri ergodici. Un vero e proprio manifesto. Con questa spiegazione, forse il lettore è indotto a pensare che la letteratura ergodica sia il corrispettivo contemporaneo delle opere di Kafka, Nietzsche o Hesse dai contenuti profondissimi e allegorici. Non è così o meglio può essere così, ma non sempre. Chi ha qualche anno in più, come il sottoscritto, si ricorderà il “librogame” all’interno del quale il lettore era libero di partecipare attivamente decidendo tra alcune possibili alternative, mediante l'uso di paragrafi o pagine numerate. Lettori diversi (o la stessa persona in occasione di una rilettura) potevano compiere scelte diverse e ciò condizionava lo svolgimento e la fine della trama. E vi ricordate Gwneth Paltrow in Sliding Doors di Peter Howitt del 1997? Ecco, direi che la letteratura ergodica è un esercizio intellettuale, un’indagine, una speculazione teorica, una sperimentazione grafica applicata rivolta al conseguimento di un profitto di consapevolezza. Oggi, la letteratura ergodica è conosciuta soprattutto nel mondo anglosassone. Qui, uno dei più spettacolari testi ergodici così definiti è Casa di foglie dello scrittore americano Mark Z. Danielewski, uscito nel 2000, la storia di un documentarista e della sua famiglia che vivono in una casa mutaforma, più grande all’interno che all’esterno, che lentamente li conduce alla pazzia. La storia, inoltre, è raccontata attraverso il classico artificio narrativo del manoscritto ritrovato da un ragazzo di Los Angeles. Nell’opera, che risulta essere un thriller in definitiva, sono presenti più voci narranti in campo, un’impaginazione particolare con pagine intere che riportano anche una sola parola, note fittissime, parole scritte in colori diversi e particolari, bugie, contraddizioni e rimandi interni di difficile individuazione. Dato l’enorme successo di critica, meno di pubblico, Danielewski, poi, s’imbarcò in un progetto ancora più ambizioso: il romanzo che uccide il romanzo, e cioè The familiar, una saga che sarebbe uscita in ventisette volumi a distanza di tre mesi uno dall’altro e che doveva essere una sorta di rivincita del romanzo sulle serie tv. In quest’opera ogni personaggio ha un suo punto di vista evidenziato anche da elementi visivi come colori diversi, ma nonostante l’interesse del pubblico, visto il grande investimento economico che l’opera stessa richiedeva, è stata interrotta dopo il quinto volume.

Un altro lavoro, per così dire più semplice e immediato, dello stesso autore, è Only revolutions, del 2006, che racconta due storie in parallelo ognuna delle quali segue un verso di stampa. In pratica: capovolgi il libro e cambi storia.

A questo punto non so se sia corretto definire la letteratura Ergodica come genere di nicchia destinato ad un pubblico ristretto anche perché oggi produrre un testo di natura ergodica è molto più semplice rispetto solamente al secolo scorso grazie al contributo della letteratura elettronica che nasce intrinsecamente con il mezzo elettronico.

Tutta, ormai, perché nessuno scrittore scrive più a mano o con la macchina da scrivere! E quindi ci ritroviamo ergodicamente con Marc Saporta e il suo Composizione 1, divertente rimescolamento di pagine da leggere in libertà, Karl Tenbro e i tre capitoli censurati del suo “volgare sogno metropolitano bagnato da un noir fantastico” come definì il libro Nibiru un critico statunitense, con Paolo Albani, con Steven Hall e le sue Memorie di uno squalo...

Tutto ciò vi ricorda qualcosa? Mc Luhan forse: “il mezzo è il messaggio”. E se pensiamo ai social, oggi, è ancora più vero!

Certo è che ci sono, secondo me, dell’Ergodica antenati o forse solo lontani parenti: libri d’artista (di cui, secondo me, il libro ergodico è un’evoluzione) e, più recentemente la letteratura combinata, una corrente letteraria francese diffusasi negli anni Cinquanta e Sessanta all’interno della quale erano presenti elementi narrativi disposti in base a scelte razionali non modificabili. A questa letteratura aderì il cosiddetto “Gruppo Oulipo” che annoverava tra i suoi illustri esponenti Queneau, Perec e il nostro Calvino. Pensiamo ai Cent mille milliards de poèmes, oppure La vita, istruzioni per l’uso e al ben più noto Il castello dei destini incrociati.

Che il libro nel tempo fosse cambiato è lapalissiano (chi era poi ‘sto de La Palisse non si sa), quando studiavo all’università lo scorso Millennio l’ipertesto era solo un’idea in embrione, si navigava poco su internet e si spulciavano ancora i cartellini in biblioteca. Oggi si consulta Uichipèdia (quanto mi piace scriverlo così), si copiaincolla, si salta da un link ad un altro, si usano font, stili, formati, corpi di testo anche molto differenti tra loro, si inseriscono ipertesti e link all’interno di un elaborato portando il lettore a leggere di tutto e di più, anche ciò che non interessa, ma se è scritto in blu sottolineato e la freccetta del computer diventa una manina… è impossibile resistere. Questa cos’è se non ergodica? Pensate che io avevo solo la possibilità di indicare (*), oppure (**), oppure (***). Niente faccine sorridenti o imbronciate… che sventura!

E ci avviamo alla fine della nostra lunga riflessione sulla letteratura ergodica trattando solo brevemente il libro d’artista e lasciando a voi ogni possibile connessione.

Dovrei iniziare dai Futuristi e da Marinetti e invece vi sollecito (in stile ergodico) con Alcool e Calligrammi (1916) di Guillaume Apollinaire morto nel 1918 per l’influenza spagnola (niente di più calzante di questi tempi dominati dal Covid). Fu sostenitore di Marinetti e del Metafisico di De Chirico in quel suo essere ostile alla tradizione e in perenne ricerca di forme nuove. Forse fu l’autore della prima espressione della letteratura ergodica, una realtà culturale nuova formata da schegge foniche, parole in libertà posizionate sul foglio in espansione grafica (lo fece anche Marinetti) che prende varie direzioni senza una sequenza chiara e definitiva ma che forma una figura, contesto necessario per comprendere l’ordine di lettura. Da Apollinaire saltiamo decenni e approdiamo ad una delle ultime espressioni di libro d’artista e di letteratura ergodica, quella di Jonathan Safran För e del suo Tree of Codes, un oggetto unico nel suo genere a cavallo tra un esperimento grafico e tipografico, una vera e propria scultura oltre ad un’opera di narrazione ccellente. Le pagine sono infatti tagliate in modo da rivelare quelle sottostanti, creando combinazioni di parole e frasi che mutano di pagina in pagina. In mezzo, nei decenni non considerati, i libri d’artista delle Avanguardie storiche del Novecento, Gli Indomabili di Marinetti del 1922 manifesto in cui si teorizza una smaterializzazione del libro consueto per una trasfigurazione e decontestualizzazione in forme e materiali che esaltino il contenuto di un libro-oggetto d'arte o ne indichino un senso inusuale ma sempre nell'esaltazione del valore culturale, formativo, creativo che un libro può ricoprire, i libri indistruttibili con pagine in latta, copertine in legno spesso serrate con vistosi bulloni, come ad esempio la rilegatura che l'editore Dinamo Azari fece realizzare per il libro Depero futurista. Pezzi unici o numerati in serie limitate a pochissimi esemplari, realizzati con tecniche miste tra le quali primeggia il collage che si alterna a parti stampate con caratteri tipografici ed a pagine, o frammenti di esse, tratte dalla quotidianità e dal mondo della pubblicità. E poi ancora i dadaisti, in particolare Marcel Dughamp e le sue destrutturazioni degli originali che spesso hanno contribuito a riportare l'attenzione del pubblico sulle “parole” e sulle “immagini” restituendo ad esse il proprio senso, letterale o simbolico. Anche Emilio Isgrò (Quel che resta di Dio è la sua opera più recente presentata alla Fondazione Circolo dei Lettori di Torino ed è, di fatto, un testo ergodico oltre che un libro d’artista) si occupò di libro d’artista e implicitamente di letteratura ergodica già a partire dagli anni Sessanta presentando una serie di opere concettuali consistenti nella cancellazione di alcune parole o intere righe con forti tratti neri che rendono quasi illeggibile il testo originale dello scrittore-autore del libro in un’operazione di ri-semantizzazione.

Attuali poi sono il libro pop up e l’interessante parallelismo proposto tra libro post-tipografico ed i testi e supertesti che il Web ci mette a disposizione, recuperando un'esperienza sensoriale e non soltanto audio-visiva: anche questa Letteratura ergodica oltre che espressione artistica.

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