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Immagine del redattoreChiara Commisso

Lingua Clara | verde d'invidia, l'erba del vicino è sempre più verde

Aggiornamento: 20 gen 2022

La prima attestazione di questo motto risale al De amore, una colorita opera del Cappellano, un religioso francese vissuto tra il 1150 e il 1200 che istruisce su come si metta in atto l’amor cortese, persuadendo la donna amata per ottenerne i favori, anche facendo leva sulla gelosia e sull’invidia per la bellezza altrui. La traduzione corretta del passo, scritto in latino medievale, è: “Sempre negli altrui campi è miglior biada, e la pecora del suo vicino ha maggiore ubero (=pelo).” La semplificazione popolare che tutti conosciamo indica come le cose che possediamo ci appaiano sempre meno belle e ricche di quelle altrui. In realtà quello che è più interessante di questo motto è l’associazione dell’invidia con il colore verde del prato. Non a caso esiste l’espressione “essere verde d’invidia” e in generale questo colore è sempre stato associato a sentimenti come la gelosia. Ovviamente non si può ridurre la storia di un colore a un solo contesto; infatti questa tinta rappresenta anche la speranza, la natura, il pulito. Tuttavia l’approfondimento di oggi riguarda proprio il suo utilizzo nell’ambito dell’emozione dell’invidia, diffuso in tutto il mondo e presente anche nelle opere di autori come Ovidio, Shakespeare, Chaucer. Alcuni ritengono che questa connotazione cromatica dipenda dalla credenza diffusa tra gli antichi Greci che la gelosia, e in particolar modo la rabbia che ne derivava, generasse un eccesso di bile e che per questo motivo la pelle assumesse un colorito verdastro. Senz’altro la collera può manifestarsi come un pallore marcato e il sangue nelle vene sottopelle può apparire come verdognolo o bluastro. In ogni caso, già il poeta latino Ovidio, nella sua opera Le Metamorfosi, descrive come la personificazione dell’invidia reagisce alla vista di Minerva, meglio nota con il nome greco di Atena. In particolare, al verso 777 del libro II, possiamo trovare: pectora felle virent “il petto diventa verde per il veleno” Mentre “felle” passa in italiano attraverso il termine fiele ed è proprio la bile, di colore giallo-verdastro, “virent”, dal verbo vireo, non ha un corrispettivo adeguato nella nostra lingua ed è necessario tradurlo con “diventa verde”. La poetessa greca Saffo, vissuta nel VII secolo a.C., aveva già descritto se stessa con l’espressione χλωροτέρα ποίας per esprimere la propria sofferenza d’amore quando osserva la sua amata con un uomo. Gli studiosi presentano traduzioni diverse: alcuni, più letterali, lasciano “sono più verde dell’erba”, altri rendono il concetto con l’italiano “impallidendo”. Questa libertà ben si sposa con la concezione “fluida” del colore per i Greci, infatti le loro categorie non rispecchiano appieno le nostre e in ogni caso l’associazione tra l’invidia e il colore verde sembra essere già presente, nonostante la frammentarietà dell’opera di Saffo non ci permetta di capire appieno se il suo pallore dipenda dalla rabbia, dal dolore o dalla gelosia. Intorno al 1600, quindi 2.300 anni dopo, Shakespeare definisce l’invidia “the green-eyed monster” in Otello e prima ancora, in un monologo di Porzia nel Mercante di Venezia, la chiama “green-eyed jealousy”. Già Chaucher inoltre aveva utilizzato l’espressione “green with envy” in The Cantherbury Tales, ma ancora oggi sono molti i posti nel mondo in cui l’invidia è ancora associata al colore verde o, al limite giallo. Eccone alcune: Gelb vor Neid, in tedesco, “giallo d’invidia”. Grun vor Neid, in tedesco, “verde d’invidia”. Poner verde a alguien, in spagnolo, “rendere qualcuno invidioso”. Verde de envidia, in spagnolo, “verde d’invidia”. Verde de inveja, in portoghese, “verde di invidia”. Gron av avundsjuka, in svedese, “verde d’invidia”. Gron af misundelse, in danese, “verde d’invidia”. Sarga irigyseg, in ungherese, “invidia gialla”.

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